SUONI DIROMPENTI

Rino Rizzato (organo) nella Chiesa del Santo Spirito in Heidelberg


E’ risaputo che nel suono dell’organo ogni singola nota riveste la sua importanza, proprio come accade nella severa forma del contrappunto e della fuga, la struttura di ogni nota dev’essere armoniosamente ordinata. Questa peculiarità normalmente prevale sull’aspetto dinamico/emotivo, tanto più che nel suono dell’organo l’espressione non trae la sua origine dalla dinamica ma piuttosto dall’agilità e dall’articolazione. Tutto questo, però, nel concerto d’organo di Rino Rizzato nella Chiesa del Santo Spirito in Heidelberg, che ha avuto luogo nel quadro della settimana, nell’anno in corso consacrata a Bach, è apparso degno di una riflessione.
Quest’italiano, che vive a Padova, uscito dalla “Accademia Chigiana” di Siena e dalla “Hochschüle für Musik Franz Liszt” di Weimar, in un concerto senza pausa, protrattosi per oltre un’ora, ha offerto una sintesi appassionante della letteratura per organo dal XVI secolo ai nostri giorni. Egli non ha mai posto in dubbio il modo di suonare tradizionale dell’organo, ma esso, nella sua esecuzione diventava piuttosto punto iniziale e terminale del suo diverbio spirituale con questo strumento. All’interno sussiste però lo spazio, che egli ha saputo colmare mirabilmente con eccelsa individualità e con la forza del suo sapere e del suo potere, in cui le regole concettuali formano solo la struttura.
Purtroppo nell’area dell’altare, attorno all’organo, si era raccolta solo una non numerosa schiera di interessati, quando Rino Rizzato ha inaugurato la serata al grande organo corale con il possente suono di una Toccata di Andrea Gabrieli. Di questo musicista, forse il più importante fra i compositori italiani del tardo Rinascimento, era anche organista a Venezia, Rizzato ha saputo mirabilmente portare, in modo persuasivo, nel nostro tempo, l’arte della sua perfetta padronanza strumentale d’allora. Arte che ha rivelato inoltre come l’organo italiano, all’inizio del XVI secolo avesse già conquistato quelle caratteristiche specifiche, che contraddistinguono questo strumento a livello tecnico e sonoro. Tuttavia, a quei tempi, non era ancora nota la combinazione di diversi timbri e più manuali in un solo strumento e neppure il pedale possedeva una propria autonomia, carenze che spiegano ovviamente i limiti della tecnica sonora italiana d’allora.
Dopo l’espressiva Toccata è stato possibile ascoltare una elaborazione di una Chanson francese “Petit Jacques”, eseguita sempre da Rizzato, che, suonata in registro alto, si avvicinava molto al suono grazioso di un’aria pastorale sul flauto.
Una profusione, sensibilmente più accentuata nella tecnica esecutiva, veniva poi richiesta dalle due successive Toccate e da un’altra affascinante composizione di Girolamo Frescobaldi, nato a Ferrara nel 1583, le cui “Chansons”, per la loro armoniosa ricchezza cromatica, per l’elaborazione tematica e per la loro arte della variazione, esercitano una funzione compenetrativa su questo strumento, aspetto questo che è stato ulteriormente sottolineato dal modo di suonare di Rino Rizzato, pervaso da incredibile fervore. Già a questo punto è stata avvertita la predilezione di Rizzato nella preparazione di andamenti conclusivi particolarmente pervasi da tensione, che egli ama poi prolungare in modo differente dalla consuetudine.
Questo tipo di esposizione, del tutto particolare, accompagnata, poi, da un’incredibile virtuosismo, da un particolare senso dello stile, da una profonda fede e da un sentimento tipicamente italiano, ha conferito anche una nuova, inconsueta luce alle tre opere di Sebastian Bach. Con intense sfumature dinamiche e con tempi sostenuti, raramente presenti con tale intensità, hanno risuonato i due preludi corali BWV 659 e 658, mentre il Concerto in Re Minore BWV 596 riempiva, con profusa ricchezza dimensionale, il vibrante spazio attorno all’altare.
Per lungo tempo questo meraviglioso concerto era stato ritenuto opera del figlio di Bach, Wilhelm Friedemann. Ma nel 1911 Max Schneider scoprì che si trattava di una elaborazione del “Concerto Grosso” op. 3, N. 11 di Antonio Vivaldi, per archi, in molti punti poco confacente all’organo, che Bach aveva adattato per questo strumento. Bach inoltre, nella parte Allegro/fugato non aveva riprodotto l’alternanza di “tutti” e “soli” mediante il cambio di manuale, omettendo così le frequenti disposizioni dinamiche di Vivaldi e facendo conseguentemente dell’originale una propria opera del tutto nuova. Rizzato ha lasciato esplodere la fuga con chiaro suono di Ripieno, ha adottato registri delicati e leggeri nel “solo” e nel finale il plenum in due manuali, ha cioè miscelato il tipo di esposizione consueta con un’interpretazione dell’opera del tutto personale.
Caratterizzata da sorprendente ricchezza inventiva, nonché dal rigore della forma si è rivelata l’opera per organo “Gesù spira sulla croce” del veneziano Oreste Ravanello (1871 – 1938) alla quale Rino Rizzato ha conferito, in modo esemplare, i colori sonori del tardo romanticismo, quali sono riscontrabili in questo ductus formale di base, totalmente raccolto in tacita preghiera, sintesi di questa mirabile composizione.
Una propria opera in più tempi di Rino Rizzato ha poi attestato la sua strabiliante confidenza con l’organo della chiesa di Santo Spirito. La composizione articolata in una struttura ampiamente atonale, ricca di una profusione vibrante di atmosfere, adducente dirompenze di suoni da togliere il respiro, determina l’affluire di una intimità di suono, notevole per questo strumento.
Altrettanto da noi poco frequentate, come le composizioni di Ravanello e Rizzato, sono le opere del compositore francese Louis Vierne (1870 – 1937), con la cui “Canzone” op. 31 Rizzato è nuovamente ritornato su terreno tonale, evidenziando inflessioni di intensità espressiva e di intimità di suono. Vierne, che ha studiato composizione con Franck e Widor e dal 1900 è stato compositore e organista a “Notre Dame”, ha tra l’altro composto sei sinfonie per organo solo, di cui Rizzato dalla seconda ha interpretato, a conclusione, lo splendido Allegro, un tempo di ampie proporzioni e di elevate richieste d’abilità tecnica, influenzato visibilmente da Franck, ma sempre ricco di rilevante virtuosismo e profuso d’abbondante elaborazione tematica, che fa pensare a Gounod nelle sue locuzioni conclusive romantico/estatiche, offrendo così la conclusione ideale di un concerto assolutamente degno di essere ricordato.